La
Cattedrale di Caltanissetta e l’iconografia di S. Pietro
Da A. Speziale, La cattedrale di Caltanissetta e l’iconografia di San Pietro, in Parrocchia San Pietro, Caltanissetta. Da quarant’anni comunità di battezzati. Caltanissetta, Paruzzo Editore dicembre 2017, pp. 169-179
La chiesa di
Santa Maria la Nova a Caltanissetta, inaugurata nel 1622 e divenuta Cattedrale
nel 1844 con l’istituzione della Diocesi, deve il suo impianto decorativo
all’iniziativa del parroco Agostino Riva che nel 1718 decise di affidare,
grazie ad una generosa offerta di denaro da parte del canonico Raffaele
Riccobene, la decorazione della navata principale al pittore fiammingo
Guglielmo Borremans.
Il progetto del parroco era ambizioso: nei pilastri, ciascuno
dei quali reggeva una statua di apostolo, doveva essere raccontato l’Antico
Testamento, nella volta, invece, il trionfo della Chiesa, attraverso la lotta
vittoriosa della Fede sul Paganesimo, l’Ebraismo, l’Eresia e l’Islam; la gloria
di Cristo fra santi; l’Immacolata
Concezione, con apostoli, patriarchi, profeti, padri e dottori della Chiesa;
l’incoronazione della Vergine tra patriarchi e profeti; l’arcangelo Michele che
caccia Lucifero e fa precipitare i ribelli nell’abisso. Tra i riquadri e in
corrispondenza delle finestre le vele dovevano raccontare storie di santità
legate ai culti locali, mentre tra una vela e l’altra prendevano posto storie
della vita di San Pietro da un lato e di san Paolo dall’altro. Gli spazi erano
stati magistralmente scanditi grazie all’opera dell’architetto Francesco
Ferrigno, anima delle partiture nello spazio.
Il trionfo della Chiesa, dunque, poggia sulla santità di
coloro che hanno guidato nel tempo e nello spazio il popolo di Dio,
orientandolo con la predicazione e con l’esempio, in particolare su Pietro e
Paolo che, pur nella loro diversità, hanno gettato il seme affinché la comunità
dei seguaci di Cristo fruttifichi e si rafforzi.
A sottolineare la pluralità della loro predicazione Pietro e
Paolo si affrontano sui due lati della volta in sette differenti riquadri posti
tra le vele, “dipinture queste”, come afferma il Di Marzo nel 1912, “che per
bellezza del comporre e del colorire son veramente degne del sovrano maestro[1]”.
Bisogna, tuttavia, evidenziare come non tutti i riquadri che
raccontano di S. Pietro sono attribuibili al Borremans, in quanto il tetto
della Cattedrale fu squarciato durante la II guerra mondiale, in occasione
dell’ingresso degli alleati in Sicilia. La copertura, in corrispondenza del
portone centrale crollò, portando con sé i meravigliosi affreschi del
Fiammingo. Per questo motivo le scene della vita di S. Pietro in parte sono da
attribuire a Nicola Arduino, pittore piemontese studioso del Tiepolo, che
seguendo le testimonianze, cercò di ricostruire le scene del Borremans,
cercando di imitarne i colori e le movenze.
L’Arduino cercò di armonizzare il proprio lavoro con
l’originale, raccogliendo tutte le testimonianze possibili per evitare di
allontanarsi troppo dal Borremans. Il pittore tradisce certamente uno stile più
sobrio e lineare e un gusto meno marcato per il colore che in Borremans era,
secondo p. Fedele da S. Biagio, “a capriccio” e “specialmente nelle carnaggioni
differente dal vero[2]”. Gli
manca, in particolare, quel “violetto di Marte” nel quale il Borremans
eccelleva, colore poco naturalistico ma di grande impatto visivo, nel quale il
visitatore della Cattedrale si imbatte con stupore.
Entrando in Cattedrale la prima scena, sulla sinistra,
racconta la vocazione di Pietro ed è opera dell’Arduino (la firma dell’artista
è in basso a sinistra), probabilmente senza i colori smaglianti che dovevano
caratterizzare l’originale. Cristo invita Pietro, accovacciato sulla sua barca,
mentre regge con la mano destra le reti, a seguirlo come “pescatore di uomini”.
Dal punto di vista iconografico il santo è riconoscibile dalla barba, dai
tratti popolani ed è stempiato e sulla barca, icona della Chiesa, mentre regge
le reti. Le vesti sono nei colori tradizionali: il mantello giallo e la tunica
in azzurro.
La composizione è dinamica per la posa del Cristo incedente e
per la presenza dell’albero dell’imbarcazione inclinato e delle nubi
bianco-rosate che agitano un cielo azzurrino.
Il modello compositivo non appartiene né al Borremans né all’Arduino,
ma è rintracciabile in Luca Giordano (“Vocazione dei Santi Pietro ed Andrea” al
Frick Museum di Pittsburgh - https://collection.thefrickpittsburgh.org/objects/37), anche se del Giordano il nostro
attenua le movenze e semplifica il numero delle figure.
La seconda scena, sempre dell’Arduino, racconta della
consegna delle chiavi, secondo la versione dell’evangelista Matteo: “A te darò
le chiavi del regno dei cieli” (Mt 16, 17-19), il testo che sottolinea il
primato petrino che nel periodo della Riforma aveva suscitato tante
controversie. Probabilmente nell’ottica del parroco Riva e del Borremans questa
doveva essere una scena cruciale a sottolineare il primato del Papa e della
Chiesa Cattolica in materia di fede.
Lo sfondo è fortemente classicheggiante, per la presenza di solidi
elementi architettonici, quali colonne ed archi modanati che si stagliano sul
consueto cielo mosso da nubi. Anche qui le pose sono accentuate, gli abiti
mossi, lo sguardo tra Cristo e Pietro intensissimo.
La presenza degli elementi architettonici potrebbe rimandare
al Vangelo di Matteo: “Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia
chiesa”, che spiegherebbe anche perché Gesù stia saldo in cima al secondo dei
due gradini su cui poggiano le figure, mentre Pietro, seppur inginocchiato,
sembra salire dal basso, in una posa innaturale. Si potrebbe leggere la scena
come un’ulteriore sottolineatura del primato della Chiesa Cattolica, che poggia
le sue basi sulla diretta e solida predicazione di Cristo. L’apertura verso lo
spazio aperto sulla destra, che fa da contraltare all’edificio solidissimo
sulla sinistra, crea la percezione interno/esterno che connota la predicazione
della Chiesa Cattolica.
Non mancano due deliziose ghirlande rococò alla sommità della
scena, che forse erano nell’originale del Borremans e che, in ogni caso, lo
rievocano.
Nel terzo riquadro, di forma ovale, Pietro è rappresentato
come pastore di pecore (GV 21,15-17), facendo riferimento anche alla I lettera
che gli viene attribuita. Anche quest’opera è certamente dell’Arduino che la
firma, ed ha come protagonista il Santo con uno sguardo accorto e mite che si
volge verso le pecore, con un gesto che sembra chiamarle a raccolta su uno
sfondo naturale molto poco caratterizzato. Da notare la presenza della ferula,
il bastone che richiama l’asta che adopera il Papa come simbolo della sua
potestà. Il quarto riquadro, riccamente modanato, è opera del Borremans, del
quale si riconosce l’eleganza raffinata nella costruzione delle figure, che
sono mosse e raffinate nelle movenze, flessuosamente atteggiate. Pietro è
addormentato su un basamento in pietra squadrata, poggia la testa sul suo
braccio destro, si allunga obliquamente nello spazio in basso della scena. Se
il suo capo conserva traccia dei tratti popolani (è quasi calvo, con i capelli
rimasti e la barba folti, bianchi e ricci), raffinatissimi sono i particolari:
è elegantemente appoggiato, mani e piedi scalzi affusolati e curati, veste ben
composta. In altro angeli reggono un telone che regge animali.
L’episodio è narrato in Atti degli Apostoli, al capitolo 10:
Pietro sogna un lenzuolo pieno di animali impuri, mentre una voce dal cielo lo
invita ad uccidere e mangiare, perché “Ciò che Dio ha purificato, tu non puoi
più chiamarlo profano”. È l’invito ad accogliere nella comunità dei Cristiani
anche i non circoncisi. Due elegantissimi angeli reggono il lenzuolo, uno dei
quali con la bocca aperta sembra cantare. Mentre l’angelo di destra è vestito,
quello di sinistra si allunga nello spazio esibendo un nudo giovanile molto
bello ed allungato, quasi nelle movenze della danza. La presenza degli angeli è
un tratto costante in S. Maria la Nova, che era dedicata anche a S. Michele,
patrono della città che ha verso l’Arcangelo una speciale devozione.
L’insieme è illuminato dai colori chiari e cangianti che
rendono mosso il cielo e il paesaggio retrostante. Anche qui due ricche
ghirlande con fiori chiari pendono dalle modanature, quasi a sottolineare la
finzione nella rappresentazione, l’effetto scenografico e teatrale.
Nella quinta scena Pietro fugge dal carcere. Il riferimento è
al cap. 12 degli Atti degli Apostoli: i fatti narrati si collocano tra il 41 e
il 44, sotto il regno di Erode, quando si scatenò una persecuzione contro i
Cristiani e fu arrestato Pietro, “consegnandolo in custodia a quattro picchetti
di quattro soldati ciascuno”. Pietro stava dormendo, piantonato da due soldati,
quando comparve un angelo che “toccò il fianco di Pietro”, lo invitò a legarsi
la cintura e mettersi i sandali, avvolgendosi il mantello per seguirlo. La
scena, assai dinamica, ripercorre passo passo il brano del Nuovo Testamento:
Pietro è appena uscito dalla sua cella, viene preso dall’angelo per un lembo della
veste e reca il mantello allacciato e i sandali ai piedi.
L’angelo è un puttino biondo dalla veste svolazzante. Sembra
di sentire quello che padre Fedele da S. Biagio afferma nei suoi “Dialoghi
sopra la pittura”: c’è “qualche scorrezione di proporzione nelle sue figure”,
attribuendogli qualche bizzarria, nonostante la capacità di lavorare con
rapidità ed ingegno. E bizzarri sono certamente i due soldati con elmo e
corazza di taglio anacronistico, in quanto armature a piastra del tempo e non
certamente romane, come si evince in particolare dall’elmo e dagli spallacci,
che assecondano la postura scomposta dei due dormienti.
La calzamaglia e le calzature amplificano la sensazione di
spaesamento, in quanto collocabili in un’altra dimensione temporale rispetto
alla semplicità dell’abito e dei sandali di Pietro.
Altrettanto bizzarra l’architettura isodoma del carcere, in
pietra tagliata, che rivela un’eleganza assai lontana dalle esigenze di un
edificio di detenzione.
Anche qui la fuga sembra avvenire a passo di danza e la
gestualità è sottolineata e innaturale, come innaturale è la veste dell’angelo
che si apre spumeggiante attorno alla figura.
La sesta e la settima scena raccontano della vita di S.
Pietro attingendo alle fonti della tradizione piuttosto che alle sacre
scritture. Gli episodi si collocano a Roma dove la vita del santo si è conclusa
con il martirio.
Il sesto riquadro, dal campo ovale, è stato erroneamente
interpretato come il battesimo del centurione Cornelio, ma in realtà si
riferisce alla conversione dei santi Processo e Martiniano per i precisi
riferimenti iconografici presenti nella scena.
Il santo è in catene e dunque l’ambientazione coincide con il
carcere Mamertino (o Tullianum), dove la tradizione vuole che Pietro sia stato
tenuto prigioniero a Roma. Capiamo che si tratta del carcere in questione dalla
presenza della sorgente d’acqua che sgorga dentro la prigione, in quanto la
tradizione attribuisce a Pietro il miracolo della fonte, nel momento in cui i
suoi due carcerieri si convertono e il battesimo può avvenire. I due poi
chiedono a Pietro di fuggire dicendogli: “O Signore, vai dove vuoi, giacché noi
pensiamo che ormai l'imperatore si è dimenticato di te” (...) Dopo che nel
carcere Mamertino tu ci hai battezzati nel nome della Trinità Santissima,
facendo sgorgare una fonte dalla rupe, con la preghiera e il segno della croce,
tu sei andato liberamente dove hai voluto e nessuno ti ha molestato».
L’indice di Pietro rivolto verso l’esterno può indicare la
volontà di Pietro di recarsi fuori dal carcere, inizialmente per allontanarsi
da Roma dove, sulla via Appia, incontrerà Cristo a cui chiederà “Domine, quo
vadis?”, episodio che lo condurrà nuovamente nella capitale dell’impero per
subire il martirio. La storia è narrata dal “Martyrium Beati Petri Apostoli”
dello Pseudo-Lino.
L’ultima scena racconta del martirio ed è stata costruita iconograficamente
sulla scorta de “La crocifissione di Pietro” di Luca Giordano (Venezia, Gallerie
dell’Accademia), un dipinto datato al 1660 che Borremans rievoca nella
posizione fortemente obliqua della croce, con la presenza sulla sinistra del
carceriere che tira la fune, con il soldato sulla destra in armatura
contemporanea. La presenza degli angeli, attestata dal racconto dello
Pseudo-Lino, che il Giordano collocava a riempire il cielo fosco di nubi, qui
sembra evocata da un personaggio che si incunea in modo poco naturale tra la
croce e il carceriere. Dal cielo luminosissimo vengono emessi raggi di luce.
Anche qui troviamo il bizzarro anacronismo del soldato portabandiera e la
presenza delle due ghirlande a chiudere la scena cadenti dalla sommità delle
modanature.
La drammaticità si stempera anche nelle figure dei due bruti
carcerieri che, pur con vesti da lavoro ed in evidente condizione di fatica,
non riescono a rendere appieno la tragicità del momento, dinanzi alle vesti
svolazzanti e ben composte e alla gestualità sempre contenuta ed elegante di
Pietro. Il “tocco seducente” di cui parla il Di Marzo non viene meno neanche
nelle rappresentazioni più tragiche e mosse.
Aurelia Speziale
[1] Per una
panoramica completa dei lavori di Gioacchino Di Marzo su Borremans si consiglia
una visita al sito http://www.casateatromassimo.it/vivapalermo/BorremansOnLine/index.html
[2] Dialoghi
familiari sopra la pittura difesa ed esaltata dal p. Fedele da San Biagio
pittore cappuccino col sig. avvocato d. Pio Onorato... (Palermo 1788), dedicati
al duca d'Angiò, 1788 - Giorno
decimoquarto
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