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venerdì 29 novembre 2019

Giuditta

Ottavo arco
LATO SINISTRO

Giuditta è protagonista di un libro dell'Antico Testamento. Il nome significa "la giudea" e la sua storia è legata a quella di Oloferne, comandante dell'esercito di Nabucodonosor, re degli Assiri. Ricevuto l'ordine del re, Oloferne con un grosso esercito cominciò a saccheggiare tutti i territori dove giungeva. Tutti,ad eccezione degli ebrei,chiedono la pace e la ottengono. Gli ebrei atterriti occupano la cima delle montagne più alte, fortificano i villaggi, fanno provviste di viveri.
Convinti della necessità dell'aiuto del Signore, fanno un grande digiuno e invocano dio.
Oloferne viene informato che gli Israeliti si sono preparati alla resistenza.
Oloferne attacca gli Israeliti assediando Betulia; egli blocca le sorgenti delle acque, causando la carenza di acqua per gli abitanti che cominciano a protestare. Ozia, capo degli Ebrei, dopo aver pregato il Signore insieme a tutto il popolo, incoraggia i fratelli a resistere ancora cinque giorni
Appare a questo punto Giuditta, vedova bellissima,virtuosa e pia, molto fedele a Dio.
Venuta a conoscenza che il popolo disperato protesta contro il capo della città, fa chiamare a casa sua i capi di Betulia. La città muore di sete per la mancanza di acqua e i condottieri invitano Giuditta a pregare per il popolo. Davanti ai capi e ad Ozia, Giuditta annuncia di avere un piano: si profuma, indossa vestiti della festa, si adorna, prende una borsa piena di farina di orzo, frutta secca, pane e formaggio e va verso le porte della città in direzione del campo nemico.
Fermata dai soldati viene condotta da Oloferne, il quale la esorta a non aver paura, anche perché
è catturato dalla sua bellezza. Giuditta resta nella tenda dell'oppressore per tre giorni. Alla quarta sera Oloferne fa un banchetto per i suoi servi, non invita gli ufficiali, ma invita Giuditta progettando di sedurla. A tarda notte i servi si ritirano nelle loro tende. Rimangono solo Giuditta ed Oloferne, il quale ubriaco si sdraia sul letto e si addormenta.
Giuditta,fatta uscire la serva, si avvicina ad Oloferne, gli solleva la testa e gliela stacca con la sua stessa spada. Consegna poi la testa alla serva che la mette nella bisaccia. Tornando a Betulia, mostra la testa a tutti, dicendo che il Signore lo aveva colpito per mano di una donna. La testa di Oloferne viene appesa in cima alle mura della città. Quando gli Assiri la vedono, mandano i soldati ad avvertire il generale e i capi. Trovato il corpo, gli Assiri fuggono, mentre Giuditta viene onorata dal popolo.

Arco 1: Giuditta entra nella tenda si Oloferne
Arco 2: Sgomento dinanzi a Oloferne decapitato
Arco 3: Panorama di Betulia
Arco 4: Giuditta di fronte ad Oloferne
Arco 5: La preghiera di Giuditta
Arco 6: Giuditta mostra la testa di Oloferne
Arco 7: Giuditta espone il suo piano
Arco 8: Giuditta mette la testa di Oloferne nella bisaccia
Arco 9: Ioachin ringrazia Giuditta
Tratto da Rosario Salvaggio, Gli archi della Cattadrale narrano l'Antico Testamento, Paruzzo editore 2007


Rielaborato da Maria Concetta Bonifacio e Pablo Fernandez del Cojo



venerdì 22 novembre 2019


Giuseppe

Terzo arco

Giuseppe è uno dei dodici figli di Giacobbe, il figlio avuto nella vecchiaia. Egli appare inizialmente come un figlio viziato, favorito dal padre che lo amava molto il quale alimenta i contrasti nella famiglia, dando a Giuseppe un bel vestito e liberandolo dalla responsabilità del lavoro con il gregge di famiglia. La gelosia cresce quando Giuseppe rivela ai fratelli un sogno, dal quale appare che lui sarebbe stato il dominatore dei fratelli. La rabbia dei fratelli sfocia in violenza quando Giuseppe li va a trovare mentre pascolano il gregge a Sichem. Il loro iniziale piano di ucciderlo viene cambiato in quello di gettarlo dentro un pozzo e poi in quello, più vantaggioso, di venderlo ai mercanti di passaggio. Costoro in Egitto vendono, a loro volta, Giuseppe a Putifar che nota che il Signore era con lui e gli affida l'amministrazione di tutti i suoi beni. Giuseppe poi cade in disgrazia e viene messo in prigione dove resta due anni. Viene liberato per interpretare due sogni del faraone.

I sogni mostrano a Giuseppe che vi saranno sette anni di abbondanza seguiti da sette di carestia: per gestire questa abbondanza, verrà scelto un funzionario e sarà Giuseppe a ricoprire questo ruolo.


Giunta la carestia Giacobbe manda i propri figli in Egitto per prendere qualche spiga di grano. Una volta arrivati in Egitto, Giuseppe riconosce i suoi fratelli ma non si rivela. Inoltre, li accusa pure di essere delle spie e dice loro che dovrà rimanere con lui un ostaggio, come prova della loro onestà. Ritornano da Giacobbe e portano con sé in Egitto il loro fratello Beniamino. Giuseppe li invita a pranzo nel palazzo regale; alla fine del pranzo, Giacobbe decide che l’ostaggio sarà Beniamino, poiché lo accusa di furto in quanto nella sua sacca è stata ritrovata una coppa d’argento, presente sulla tavola imbandita per il pranzo. Dopo la resistenza dei fratelli, Giuseppe si fa riconoscere: essi torneranno dal padre per dire che Giuseppe è vivo. Il Faraone, venuto a conoscenza della notizia, invita Giuseppe e la sua famiglia a vivere in Egitto.

GIUSEPPE SI RA RICONOSCERE DAI FRATELLI

Giuseppe era stato venduto dai fratelli a Putifar, maggiordomo del re. Durante gli anni di carestia amministra la vendita del grano. Tra i compratori pure i fratelli di Giuseppe che li riconosce ma non si fa riconoscere. Quando i fratelli ritornano in Egitto per la seconda volta portano con sé anche il fratello Beniamino; a questo punto Giuseppe si commuove, si fa riconoscere e li invita a pranzare al palazzo.

GIUSEPPE VENDUTO DAI FRATELLI E TIRATO FUORI DAL POZZO

I fratelli odiano Giuseppe sia perché era il preferito dal padre sia per il sogno fatto nel quale, durante la mietitura del grano, il suo covone si drizza in piedi e quelli dei fratelli si inchinano in atto di riverenza; segno di una dominazione di Giuseppe sui fratelli. Giuseppe a Sichem raggiunge i fratelli che pensano di ucciderlo, ma lo vendono ai mercanti.

GIUSEPPE MAGGIORDOMO DI PUTIFAR (Gen 39, 1-6)

I mercanti egiziani vendono Giuseppe a Putifar, e il giovane viene nominato maggiordomo della casa. In occasione della carestia emergono le sue qualità di saggio amministratore e il faraone lo designa come amministratore del suo regno conferendogli l'autorità su tutto l'Egitto.

GIUSEPPE IN CERCA DEI FRATELLI IN SICHEM (Gen 37, 12-17)

Giacobbe affida il compito di accudire il gregge a tutti i figli, esonerando Giuseppe da tale mansione.

Un giorno però Giacobbe manda Giuseppe dai fratelli che a Sichem pascolano il gregge e in quell'incontro i fratelli prima pensano di ucciderlo, poi lo calano in un pozzo e infine lo vendono ai mercanti egiziani.

GIUSEPPE INTERPRETA IL SOGNO DEL FARAONE

Durante la notte il Faraone sogna sette vacche magre e sette grosse e sette spighe piene e sette striminzite. Il giorno dopo, impaurito dal sogno fatto, ordina ai suoi sudditi di chiamare gli indovini del regno affinché gli spieghino il significato del sogno, ma nessuno di loro è in grado di interpretarlo; così il capo dei coppieri dice al Faraone che uno dei prigionieri, di nome Giuseppe, è in grado di poter spiegare il significato. Per ordine del Faraone viene chiamato Giuseppe, il quale interpreta il sogno: le sette vacche grosse e le spighe piene significano sette anni di abbondanza, mentre le sette vacche magre e le spighe striminzite sette anni di carestia.

INCONTRO DI GIACOBBE CON GIUSEPPE

Giuseppe si fa riconoscere dai fratelli con i quali pranza e affida loro l’incarico di riferire al padre che lo avrebbe aspettato impazientemente.
Il faraone, venendo a conoscenza della presenza dei fratelli di Giuseppe, ordina loro di andare dal padre per invitarlo a suo nome assicurandogli terre fertili e cibo.
I fratelli si recano a Caanan dal padre Giacobbe che, subito dopo aver ricevuto le notizie, decide di partire, incoraggiato anche da Dio.
Arrivato in Egitto egli viene subito riconosciuto da Giuseppe che, piangendo, lo abbraccia a lungo.

Tratto da Rosario Salvaggio, Gli archi della Cattadrale narrano l'Antico Testamento, Paruzzo editore 2007


Rielaborato da Michela Giangreco, Silvia Amico, Martina Salvaggio, Francesca Fonti, Dalila Mastrosimone, Chiara Nicosia







Giaele e Abimelec
quinto arco


In questo arco vi sono solo due affreschi dove vengono riprodotti due episodi di cui si parla nel libro dei Giudici legati a Giaele e Abimelec. Il popolo ebreo si era allontanato da Dio perché aveva agito contro la volontà del Signore. Dio punisce il popolo facendolo cadere nelle mani di un re della Mesopotamia per otto anni. Gli Israeliti invocano Dio, chiedono perdono, e Dio manda i Giudici che liberano il popolo. Nonostante il perdono di Dio, il popolo ancora una volta si allontana da questi.

Dietro invocazione del popolo, Dio manda come giudice la profetessa Debora che chiama Barak e, a nome del Signore, gli ordina di prendere diecimila uomini, portarli sul monte Tabor per combattere contro Sisara, comandante del re Iabin. Barak va insieme a Debora.

Sisara, informato che Barak è salito sul monte Tabor, ordina di trasferire l’esercito verso il torrente Kison. Barak sbaraglia l’esercito di Sisara che però si salva. Giaele invita Sisara ad entrare nella sua tenda e Sisara, molto stanco, si addormenta. Giaele prende un paletto della tenda e uccide Sisara.



Abimelec

Alla morte di Gedeone, suo padre, Abimelec convince i suoi parenti a proporre ai ricchi e proprietari della città che era meglio avere un solo capo piuttosto che tanti. Accettata la proposta, viene proclamato re, ma Iotan, fratello di Abimelec, non accetta questa scelta. Dio non approva l’aggressione di Abimelec e fa diventare suoi nemici i ricchi proprietari che prima lo avevano proclamato re. Guidati da Gaal, combattono contro Abimelec.

Abimelec viene informato da Zebal e, di notte, parte con i suoi uomini e vince. Incoraggiato da questa vittoria, si accanisce anche contro la città di Sichem. Si salvano soltanto i proprietari della torre della città. Abimelec assale il tempio e attacca la città di Tebez. Mentre sta per incendiare la torre, una donna getta dall’alto una pietra e gli fracassa la testa. Allora Abimelec chiama un ragazzo e gli ordina :"Prendi la mia spada e uccidimi, così nessuno può dire che sono stato ucciso da una donna". Il ragazzo lo colpisce e Abimelec muore.


Tratto da Rosario Salvaggio, Gli archi della Cattadrale narrano l'Antico Testamento, Paruzzo editore 2007


lunedì 18 novembre 2019


Giacobbe

Secondo arco a destra

Il secondo arco a destra è dedicato al patriarca Giacobbe. Il nome significa innanzitutto “che tiene il calcagno”, perché nacque stringendo nella mano il calcagno del fratello. Giacobbe significa anche “che soppianta”. È fratello gemello di Esaù, figlio di Isacco e di Rebecca. Fu padre di dodici figli. Teologicamente Giacobbe, come Abramo e Isacco, è colui che riceve la promessa di terra e di numerosa progenie. Giacobbe, nonostante la benedizione del Signore, non si mostra uomo onesto, specie nei confronti del fratello. Con la collaborazione e l’iniziativa della madre Rebecca, riesce ad ingannare il padre Isacco e strappa la benedizione della primogenitura, sostituendosi ad Esaù. Questo suo gesto provoca le ire di Esaù, che comincia ad odiarlo. Giacobbe, dietro consiglio della madre, va a Carran dallo zio Labano e vi resta fino a quando non decide di riconciliarsi con Esaù. Intanto Giacobbe evita di sposare una Cananea e sposa prima Lia e poi Rachele. Da questi matrimoni ebbe dodici figli. Nonostante queste avventure, la vita di Giacobbe è guidata dalla protezione di Dio. Sentendo vicina la morte Giacobbe li benedice singolarmente, sdraiato sul letto di morte. Il Pianto di Giacobbe si inserisce nella storia del figlio Giuseppe, da lui prediletto, perché è il figlio avuto nella vecchiaia. I fratelli, gelosi di questa predilezione, odiano Giuseppe. Il loro odio cresce quando Giuseppe rivela loro di avere fatto un sogno, che urta i fratelli perché capiscono che Giuseppe può diventare il loro dominatore. Lo odiano così tanto che lo gettano in un pozzo e poi lo vendono a mercanti egiziani. Al padre Giacobbe fanno credere che Giuseppe era stato sgozzato da una belva feroce. Credendo Giuseppe morto, Giacobbe “si stracciò le vesti, prese il lutto e pianse per suo figlio per molti giorni”. Gli altri figli tentano di consolarlo, ma egli non vuole lasciarsi confortare.

Tratto da Rosario Salvaggio, Gli archi della Cattadrale narrano l'Antico Testamento, Paruzzo editore 2007


Rielaborato da Enrico Autore, Vincenzo Calamera, Francesco Porrovecchio, Egle Salamone, Agnese Scivoli,



Mosè

Quarto arco di destra

Mosé, datore della legge, profeta e primo capo degli Israeliti, condusse il popolo ebreo fuori dall'Egitto nella terra promessa. E' protagonista dell'Antico Testamento, dall'Esodo al Deuteronomio.

Nacque da una famiglia della tribù di Levi. A causa dell'Editto del faraone che prescriveva l'uccisione dei bambini maschi ebrei, fu nascosto e abbandonato nel Nilo dentro una cesta. Fu ritrovato dalla figlia del faraone che, sotto consiglio della sorella di Mosé, lo affidò ad una nutrice che era la madre naturale. La figlia del faraone adottò, in seguito, il bambino e gli diede il nome di Mosé che significa "io l'ho salvato dalle acque".

Un giorno avendo notato che un israelita veniva picchiato da un egizio, intervenne uccidendo l'egiziano. Fu costretto a fuggire a Madian, sposò Zippora e si mise a servizio del suocero. Un giorno fu attratto da un roveto che ardeva senza consumarsi.

Mentre si avvicinava al roveto gli apparve l’angelo del Signore e gli disse: “ Fermati! Togliti i sandali,perché il luogo dove ti trovi è terra sacra. Io sono il Dio di tuo padre, di Abramo, di Isacco e di Giacobbe. Ora va'! Io ti mando dal Faraone per fare uscire dall’Egitto il mio popolo, gli Israeliti”.

Il Signore gli assicurò la sua protezione e alle parole di incoraggiamento Dio aggiunse dei segni e diede prova che era proprio Lui ad inviarlo.

Gli rivelò il suo nome: “ Io sono colui che sono”. Dinanzi al Faraone, Mosé compì una serie di prodigi mandando dieci piaghe. Il Faraone a motivo delle piaghe inviate da Dio e soprattutto per l’uccisione dei primogeniti degli egiziani lasciò partire il popolo.

Nel viaggio verso la terra promessa, Mosé divise il Mar Rosso per permettere agli ebrei di passare all’asciutto. Dio permise a Mosé di cambiare le acque salmastre in acque dolci. Tutti questi prodigi, operati da Mosè sono conseguenza di interventi di Dio.

Mosé condusse il popolo per quaranta anni attraverso il deserto verso la terra promessa. Però a lui non venne concesso il privilegio di entrare nella terra promessa; morì sul monte Nebo.


MOSÈ INCONTRA IL SUOCERO IETRO (Es.1,1-10)

Mosè, fuggito dall'Egitto, dopo avere ucciso un egiziano va ad abitare nella regione di Madian. Si ferma presso un pozzo, dove le figlie del sacerdote, andavano ad attingere acqua. Mosè quel giorno le difende dagli altri pastori. Le ragazze, tornate a casa prima del solito, informano il padre Ietro, di quanto era avvenuto al pozzo.

"Chiamatelo a mangiare qualcosa con noi!". Da quel giorno Mosè si ferma presso quella famiglia. Ietro gli dà in sposa la figlia Zippora.


POTERE TAUMATURGICO DATO A MOSÈ (Nm. 21,7-9)

Il viaggio attraverso il deserto è lungo. Per questo il popolo protesta contro Dio e contro Mosè. Di conseguenza Dio punisce il popolo mandando serpenti velenosi.

Il popolo, riconoscendo di aver offeso Dio, chiede a Mosè di intercedere presso il Signore che risponde: "Fa' un serpente di metallo e fissalo in cima ad una pertica. Chi sarà morso da un serpente e guarderà quello di metallo, salverà la propria vita."


MOSÈ SALVATO DALLE ACQUE

IL ROVETO ARDENTE

MOSÈ E IL FARAONE

Gli eventi in cui si narra di Mosè salvato dalle acque, di Mosè che vede il roveto ardente e di Mosè dinanzi al faraone sono raffigurati in tre degli affreschi dell'arco.

Il capitolo ventesimo dell'Esodo riporta le dieci parole che Dio pronunziò ed affidò a Mosè, per il popolo. Le dieci parole sono i dieci comandamenti; Sono scritte su due tavole di pietra.


MOSÈ SCENDE DAL SINAI

Mosè riceve le leggi sul monte Sinai, dove si era recato per richiesta di Dio. Siccome Mosè ritarda, il popolo chiede ad Aronne di costruire un idolo perché li guidi. Aronne dunque ordina al popolo di raccogliere oggetti d'oro, li fa fondere e fabbrica la statua di un vitello. Gli Israeliti offrono sacrifici al vitello e si mettono a far festa. Mosè scende portando in mano le tavole della legge, scritte da Dio stesso, ma vede il vitello e la gente che danza. Allora, pieno di collera, butta via le tavole, le spezza ai piedi della montagna. Prende il vitello, che avevano fatto, lo getta nel fuoco e riduce in polvere quel che resta. Mescola quella polvere nell'acqua e la fa bere agli Israeliti.

Tratto da Rosario Salvaggio, Gli archi della Cattadrale narrano l'Antico Testamento, Paruzzo editore 2007

Rielaborato da Gaia Bellavia, Chiara Curcuruto, Esther Fiandaca, Sofia Nalbone, Giulia Russo